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Una lucidissima certezza e una matematica inquietudine percorrono i versi di Antonio De Mitri, nei quali la parola poetica si fa veicolo di realtà amare, molto amare, e nello stesso tempo appare come l'unica possibilità di tener testa all'oblio, girandogli intorno, cercando, se possibile, di definirlo, e forse anche di sfidarlo. E allora, la fragilità per un istante si fa forza (un'ora / solo / un'ora. / e sarò solo. / il nulla / a contemplarmi. / dal pensiero assente / e dal presente. / un'aura / divagante. // solo / un varco / di luce prepotente / a orientare le mie forze / nel vano / un coro / di animelle / a salutare l'ascendente / e non sarò / solo), una dignità coraggiosa e commovente rivendica la sua umanissima presenza [come un'arida pellicola (senza spessore e senza farmi del male) aderire all'efferato destino del mio corpo], e infine al soverchiante avanzare dell'inesorabile, un assedio dall'esito scontato, si oppone una fermezza intellettuale con una logica interiore inoppugnabile, del tutto inutile, purtroppo, ma necessaria e dovuta, sicuramente dovuta. Ed è questa perseveranza che, probabilmente, riesce a essere, anche solo per un brevissimo istante, "avvincente".